Clausole claims made: le Sezioni Unite tornano (ancora) a pronunciarsi.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione tornano a pronunciarsi sul
tema delle clausole c.d. "claims made": in particolare, con la sentenza n. 22437/2018 (qui sotto allegata), il Supremo consesso nomofilattico prende posizione sulla vessatorietà e sulla validità di tali clausole.
La vicenda da cui origina la decisione, riguarda la caduta del braccio di una gru in un cantiere edile a seguito della quale è derivato il crollo di un magazzino con danneggiamento delle merci custodite.
In
particolare, la società fabbricante della gru, chiamata in causa ai
fini del risarcimento danni, chiede di essere manlevata dal proprio
assicuratore della responsabilità civile assumendo che il sinistro per
quell'evento era garantito da una polizza con una determinata
franchigia.
L'assicuratore, invece, evidenzia come con la propria cliente avesse stipulato due contratti
nei quali operavano la c.d. clausole claims made, pertanto sarebbe
stata obbligata a indennizzare solo i danni il cui risarcimento fosse
stato richiesto all'assicurato durante il periodo di efficacia della
polizza,nel caso di specie la seconda che prevedeva una franchigia di molto superiore.
Il
Tribunale, pronunciandosi sulla domanda di garanzia, dichiara nulla, ai
sensi dell'art. 1341 c.c., la clausola claims made. La Corte d'Appello,
successivamente adita, riteneva che la clausola "claims made" di tipo
"puro" non rendesse nullo il contratto ex art. 1895 c.c. e che
non si prestasse neppure a essere considerata vessatoria, avendo
l'effetto non già di restringere la responsabilità dell'assicuratore,
bensì di delimitare l'oggetto del contratto.
La Corte concludeva che nulla fosse dovuto all'assicurato
essendo la richiesta pervenuta un anno dopo il fatto verificatosi ove
vigeva il contratto con maggior franchigia. L'assicurazione, dunque, non
doveva pagare essendo il danno causato dall'assicurata inferiore a tale
limite.
La rimessione alle Sezioni Unite.
La
questione giunge, infine, all'attenzione della Corte di Cassazione:
viene chiesto alle Sezioni Unite di esaminare la disciplina della
clausola claims made in relazione a questioni di massima di particolare
importanza, ulteriori e diverse rispetto a quelle già scrutinate dalla
sentenza delle stesse Sezioni Unite n. 9140/2016.
In particolare, l'ordinanza interlocutoria della Terza Sezione civile, ha chiesto alle Sezioni Unite di saggiare la correttezza di due principi:
1)
nell'assicurazione contro i danni non è consentito alle parti elevare
al rango di "sinistri" fatti diversi da quelli previsti dall'art.. 1882
c.c., ovvero, nell'assicurazione della responsabilità civile, dall'art.
1917,
comma primo, c.c.;
2)
nell'assicurazione della responsabilità civile deve ritenersi sempre e
comunque immeritevole di tutela, ai sensi dell'art. 1322 c.c., la
clausola la quale limiti l'indennizzo non già in base alle condizioni
contrattuali vigenti al momento in cui l'assicurato ha causato il danno,
ma in base alle condizioni contrattuali vigenti al momento in cui il
terzo danneggiato ha chiesto all'assicurato di essere risarcito, c.d.
clausola claims made.
La Cassazione sulla validità delle clausole "claims made".
Dalla
rimessione della questione alle Sezioni Unite ne origina una puntuale
disamina sulla disciplina e sull'interpretazione delle clausole c.d.
claims made, che prende atto in particolare degli approdi a cui la
medesima Corte è iunta nella sentenza n. 9140/2016.
Le Sezioni Unite giungono a ribadire la validità dello schema "a richiesta fatta" secondo
cui la copertura scatta quando la richiesta di risarcimento del terzo
danneggiato avviene nel periodo di vigenza della polizza e la domanda
viene inoltrata dal cliente alla propria compagnia.
Secondo
i giudici, "nello spazio concesso dalla derogabilità (art. 1932 c.c.)
del sotto-tipo delineato dal primo comma del citato art. 1917 (ossia
dello schema improntato al loss occurence o all'act committed), ben si
colloca, e non da ora soltanto, il modello claims made, da
accettarsi, dunque, nell'area della tipicità legale e di quella stessa
del codice del 1942, nel suo più ampio delinearsi come assicurazione
contro i danni, rifluendo nell'alveo proprio dell'esercizio
dell'attività assicurativa".
Una conclusione che si fa
apprezzare non solo in riferimento al settore sanitario e delle
professioni, ma in linea più generale. Sicché, la liceità della claims made con
"garanzia pregressa" si apprezza "perché afferisce a un solo elemento
del rischio garantito, la condotta colposa posta già in essere e
peraltro ignorata, restando invece impregiudicata l'alea
dell'avveramento progressivo degli altri elementi costitutivi
dell'impoverimento patrimoniale del danneggiante assicurato".
In particolare, nel principio di diritto, gli Ermellini precisano
che il modello dell'assicurazione della responsabilità civile con
clausole "on claims made basis", che è volto a indennizzare il rischio
dell'impoverimento del patrimonio dell'assicurato pur sempre a seguito
di un sinistro, inteso come accadimento materiale, è partecipe del tipo dell'assicurazione contro i danni,
quale deroga consentita al primo comma dell'art. 1917 c.c., non
incidendo sulla funzione assicurativa il meccanismo di operatività della
polizza legato alla richiesta risarcitoria del terzo danneggiato
comunicata all'assicuratore.
Ancora, per i giudici, deve escludersi che tale clausola abbia natura vessatoria
ai sensi dell'art. 1341 c.c.: questa, individuando il sinistro
assicurato, non risulta limitativa della responsabilità, ma è vista in
termini di delimitazione dell'oggetto del contratto.
Claims made: il superamento del giudizio sulla "meritevolezza".
In particolare, rispetto al singolo contratto di assicurazione, per le Sezioni Unite, non si impone e va superato
un giudizio improntato alla logica propria della "meritevolezza",
siccome ancorata al presupposto della atipicità contrattuale (art. 1322,
secondo comma, c.c.) e, quindi, frutto di una autonomia privata che, in
quel determinato e peculiare esercizio, sebbene abbia già trovato
riconoscimento nella realtà socio-economica, non ancora rinviene il
proprio referente nel "tipo" prefigurato dalla legge.
Rimane,
però, vivo e vitale il test su come la libera determinazione del
contenuto contrattuale, tramite la scelta del modello claims made,
rispetti, anzitutto, i "limiti imposti dalla legge", che il primo
comma dell'art. 1322 c.c. postula per ogni intervento conformativo sul
contratto inerente al tipo, in ragione del suo farsi concreto
regolamento dell'assetto di interessi perseguiti dai paciscenti, secondo
quella che suole definirsi "causa in concreto" del negozio.
La tutela invocabile dal contraente assicurato può
investire, in termini di effettività, diversi piani, dalla fase che
precede la conclusione del contratto sino a quella dell'attuazione del
rapporto, con attivazione dei rimedi pertinenti ai profili implicati.
Ossia
(esemplificando): responsabilità risarcitoria precontrattuale anche nel
caso di contratto concluso a condizioni svantaggiose; nullità, anche
parziale, del contratto per difetto di causa in concreto, con
conformazione secondo le congruenti indicazioni di legge o, comunque,
secondo il principio dell'adeguatezza del contratto assicurativo allo
scopo pratico perseguito dai contraenti; conformazione del rapporto in
caso di clausola abusiva (come quella di recesso in caso di denuncia di
sinistro).
In conclusione, non è, dunque, questione
di garantire e sindacare l'equilibrio economico delle prestazioni, che è
profilo rimesso esclusivamente all'autonomia contrattuale, ma occorre
indagare, con la lente del principio di buona fede contrattuale, se lo scopo pratico del regolamento negoziale "on claims made basis" presenti un arbitrario squilibrio giuridico tra rischio assicurato e premio,
giacché, nel contratto di assicurazioni contro i danni, la
corrispettività si fonda in base ad una relazione oggettiva e coerente
con il rischio assicurato, attraverso criteri di calcolo attuariale.
Gli
Ermellini puntualizzano, altresì, che sul piano della fase prodromica
alla conclusione del contratto secondo il modello della claims made,
l'imrpesa assicurativa o i suoi intermediari sono tenuti ad assolvere gli obblighi informativi in
modo trasparente e mirato alla tutela effettiva dell'altro contraente,
nell'ottica di far conseguire all'assicurato una copertura assicurativa
il più possibile aderente alle sue esigenze.
Ancor prima delle regole specificamente dettate dalle disposizioni del codice delle assicurazioni private,
era già scolpita nel sistema la necessità che, nella fase
precontrattuale, il contatto tra le parti, in quanto qualificato
dall'affidamento reciproco e dallo scopo perseguito, fosse improntato al rispetto degli obblighi di buona fede, di protezione e di informazione che
devono tendere alla trasparenza ottimale dei contenuti negoziali
predisposti, così da consentire alla controparte di rappresentarsi al
meglio portata e convenienza degli effetti contrattuali.
Il contraente pregiudicato a causa della violazioni di tali obblighi
nella fase precontrattuale potrà aspirare a una tutela risarcitoria che
sia in grado di fargli conseguire un effettivo ristoro del danno
patito, commisurabile all'entità delle utilità che avrebbe potuto
ottenere in base al contratto correttamente concluso.
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